E’ uno dei dodici articoli che, sotto il titolo riassuntivo PRINCIPÎ FONDAMENTALI, sancisce l’eguaglianza dei cittadini davanti alla legge. Ne diamo il testo integrale per miglior conoscenza da parte dei nostri lettori.
Dopo l’emanazione della sentenza della Consulta sulla che ha dichiarato illegittimo il cosiddetto “lodo Alfano” (Legge 23 luglio 2008 n. 124) in quanto viola l’art. 3 della Costituzione, è bene leggere interamente il disposto costituzionale, indicato sommariamente dalla stampa come salvaguardia dell’eguaglianza dei cittadini di fronte alla Legge.
Eccolo :
Art. 3
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Ordunque: uomini, donne, ermafroditi, gay, ariani, ebrei, cinesi, creoli, malesi - coloro che parlano giapponese, francese, spagnolo, arabo - cattolici, buddisti, atei, islamici , ebrei - anarchici, fascisti, comunisti, socialdemocratici, monarchici, repubblicani - poveri, ricchi, analfabeti, scienziati, aristocratici, plebei, schiavi, padroni, pezzenti, miliardari… Insomma tutti, senza distinzione, sono uguali davanti alla Legge. Né viene prevista una condizione personale per avvantaggiarsi “davanti alla Legge”.
Dice questo o no l’art. 3 ?
Non bisogna far distinzioni, quindi, di condizioni personali.
Ora, il “lodo Alfano” prevedeva che le maggiori quattro alte cariche dello Stato, cioé, in ordine decrescente:
1 – il presidente della Repubblica
2 – il presidente del Senato
3 – il presidente della Camera dei deputati
4 – il presidente del Consiglio dei ministri
durante l’esercizio del loro mandato non fossero distolte dalle loro incombenze istituzionali e quindi costrette ad affrontare difese in sede giudiziaria. Di qui una guarentigia in effetti rivolta al ruolo istituzionale e, in pratica, alla persona che lo riveste pro tempore.
Mi sembra ragionevole e accettabile quindi, la ratio espressa dal lodo, anche perché si prevedeva che tale bonus dovesse valere una sola volta e senza che venissero interrotti i termini di prescrivibilità dell’atto giudiziario. Ripeto: ragionevole e accettabile.
Il fatto è che la Costituzione non prevede un’eccezione del genere, anzi si preoccupa di rammentare il significato di quel “senza distinzione” precisandone l’ ampiezza che include come detto, le condizioni personali.
Pertanto per poter giungere all’innovazione giuridica, che preveda la sospensione dell’eguaglianza per il periodo di tempo durante il quale viene esercitata l’alta carica, occorre una modifica della Costituzione.
Invece la legge “lodo Alfano” è ordinaria. Una Legge costituzionale va approvata secondo quanto stabilisce l’art. 138 che recita :
[le leggi costituzionali] sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza a maggioranza assoluta di componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione.
Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro publicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri si una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi.
Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione di ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti
Ancorché necessario assicurare una tutela giuridica diversa da quella che godono gli altri cittadini, essa andava operata con una legge di revisione della Costituzione nei modi prescritti qui sopra e che non abbisognano di spiegazioni divulgative.
La Corte che ha bocciato il lodo Alfano non poteva che deliberare come ha fatto.
Di ciò non si sono lamentate le attuali tre massime cariche dello Stato, incarnate pro tempore, in ordine decrescente, da Giorgio Napolitano, Renato Schifani e Gianfranco Fini ma soltanto la quarta cioè Silvio Berlusconi al quale evidentemente interessava poter fruire di una inammissibile, allo stato dei fatti, ineguaglianza.