Italia, il nord e il sud
sabato 25 luglio 2009

In clima di “quasi-ferie” si ha un qualche ritaglio di tempo per leggere e approfondire temi sui quali spesso si sorvola o dei quali, semplicemente, ci si disinteressa magari a malincuore.


I passeri, stamane alle 5, avevano gran daffare per annunciarsi un caldo torrenziale e cantavano a squarciagola. Un centinaio di passerotti garruli che alloggiano proprio sotto la mia stanza da letto sono una sveglia dolce ma senza pulsante di stop. Svegliarsi, caffè e il resto è automatico. Aria fresca dell’alba di un giorno di luglio. Rumori e silenzi che sanno di buono e di antico, un libro sul tavolo, copertina verde, un regalo dell’impareggiabile Alfio, uomo con grande zaino di anni che porta come se fosse una piuma avendone a smaltire tantissimi ancora davanti al petto.


Un libro piccolo, di quelli che si leggono d’un fiato. Un saggio di Aldo Schiavone: L’Italia contesa. Lo prendo e lo leggo. Tutto dall’inizio alla fine. Il sole è caldo e ho da fare qualcosa. Come sempre compro i giornali. Li sfoglio. Dentro ad un di essi c’è un articolo di Gigi Montonato. Lo leggo rapidamente. Faccio le mie cose. La testa non riesce a liberarsi delle parole di cui si è nutrita al fresco della mattina presto e al sole della della mattina tarda.


Riprendo il libro e rileggo l’articolo. Si parla di Italia, di Nord e di Sud, di Italia divisa. Hanno qualcosa in comune i due scritti: entrambi usano categorie approssimanti, forse troppo. Vi sono approssimazioni culturali, non importa se colpose o dolose, che disegnano un quadro risultante, al contempo, completamente condivisibile e assolutamente confutabile. Una tautologia che, in quanto tale, è foriera di una occasione perduta nello stimolare una qualche riflessione che diradasse le nebbie del futuro almeno per un momento.


Del tutto ovvio che la mia modestissima persona nulla ha da insegnare agli autori in questione e però alcune cose credo vadano precisate. Comprendo le approssimazioni ma cercate anche di comprendere che non tutte sono uguali e hanno il medesimo valore. Se un giorno sarò in Pronto soccorso e sentirò dire che va tutto a posto tranne che per il mignolo e il lobo dell’orecchio sinistri che sono irrecuperabili, proverò dolore nel divenire un “Uomo approssimato” ma sarò molto più felice che se dovessi approssimarmi nel futuro senza gambe e senza braccia.


“Era un’occasione che Craxi aveva intuito, cercato e in qualche modo preparato. Ma gli toccò di essere investito da un aspetto della tempesta che non aveva previsto – quello giudiziario e mediatico – e finì travolto e risucchiato dal vecchio mondo che spariva.” (Pag. 28)


In questo passo si legge una analisi della storia che non capisco da  dove tragga origine, la lettura di Tangentopoli come evento politico e non come evento criminale che ha poi avuto risvolti politici. Senza Tangentopoli non ci sarebbe stato né Berlusconi né Di Pietro che sono stati i frutti di quella stagione. Craxi non aveva affatto intuito il nuovo, con il Midas aveva dato voce e spazio alla pletora dell’anticomunismo lasciato orfano dalla svolta Morotea-Zaccagniniana, si era accreditato come padrino della “sinistra anticomunista” che ha ancora tanti adepti e che ha davvero sdoganato il fascismo e il terrorismo come soggetti ammessi alla politica in Italia.


Interrompendo la transizione Italiana verso la Democrazia compiuta non era più utile. Anzi diventa pericoloso. Nel poco ricordato “incontro del camper” si pongono le basi per una entrata del PCI nell’Internazionale Socialista e per ragionare sulla “ricomposizione della frattura di Livorno”. Qualche mese dopo il PCI diventa PDS e viene arrestato Mario Chiesa.


Solo un ricordo caricaturale e propagandistico può innalzare a credo veritiero lo scontro PSI-PCI come campo di Tangentopoli. Chi poteva promettere salvaguardie e impunità, imenoplastiche e permanenze nei luoghi di comando non erano né il PSI e tanmeno il PCI-PDS divorato da una faida ancora in corso. Chi sollevò con ferocia l’antipolitica, l’esaltazione delle manette, il giustizialismo furono la Lega Nord, il Movimento Sociale, le reti di Berlusconi e una certa classe alto-borghese che voleva accreditarsi come società civile immacolata.


Chi ha la mia età non dimentica la posizione comica di Paolo Brosio attendato alla Procura Milanese in attesa del collegamento con il Fido Fede … Il povero Bettino, passato da Ghino di Tacco a Masaniello sbeffeggiato, si fa forte del patto di ferro con Forlani e Andreotti, pensa di avere il poker in mano e scopre che i suoi lo hanno venduto. Dei quattro cavalieri uno rompe l’argine e fa saltare il banco, andando a compiere una missione disegnata e perseguita dai tempi di Sindona, di Calvi e dell’asse Milano-Palermo. Tutto va cambiato perché tutto ritorni come prima, anzi meglio di prima. E per questo si corrompe, si calunnia, si uccide se necessario, con le armi, le bombe e anche le televisioni. E le armi le usano quelli che le possiedono, anche verso chi li ha aiutati ad acquistarle.


Manca, quindi, nella dotta enunciazione di Schiavone, la parte criminale del romanzo italiano e la narrazione del Paese vissuto in guerra non può essere fatta senza metterne a nudo la parte peggiore. Specialmente un Paese che ha avuto Presidenti del Consiglio collusi organicamente con Cosa Nostra, Ministri della Repubblica in combutta con la Camorra e con le ’Ndrine, Ministri della Repubblica che avevano in famiglia Terroristi Rossi e Neri, Gran Commis mischiati con le trame della Banda della Magliana e con il Contrabbando delle Sigarette e dei Petroli. Magistrati e Generali corrotti fino al midollo, a volte a capo di vere associazioni a delinquere. Un paese di colpi di stato veri e finti nel quale il sistema di governo era dominato sostanzialmente dal ricatto e dove la “conventio ad escludendum” verso il PCI era inizialmente dettata da ragioni ideologiche ma poi, dopo il 1984, dalla necessità di non aggiungere altri posti a tavola. Mi devo fermare qui altrimenti divento troppo lungo.


Per quanto riguarda l’articolo di Montonato invece la delusione grande è che anche il nostro casca sul Sud “così definito da sempre”. Non è così. Il Sud dell’Italia, come i Sud del mondo non sono sfortunati o meno inclini allo sviluppo economico, sociale e culturale. I Sud non si trovano sempre a Sud. In Corea o in Viet-Nam il Sud è al Nord.
Il Sud dell’Italia, quello delle Calabrie e di Siracusa era Sud anche quando vi si disquisiva di filosofia e di scienza mentre al nord si raccoglievano bacche e radici.


E il Sud d’Italia ha partecipato e partecipa eccome all’Italia: come si sarebbe costruito il nord senza i milioni di immigrati? Come si sarebbe costruita l’Italia senza Peppino Di Vittorio? E che Italia sarebbe stata senza Benedetto Croce? E la carne da cannone dei “cafoni” per le guerre non è servita a far sedere i Regnanti ai tavoli della pace?


Il Sud non deve rivendicare un aiuto da alcuno ma un giusto risarcimento per essere stato sfruttato e privato della sua risorsa più importante che ancora oggi è costretto a regalare: la vita dei giovani. Vede dott. Montonato la condizione del Sud è la medesima di quella dell’Africa. Se la immagina l’Africa senza due secoli di schiavismo e di genocidi che l’occidente ha perpetrato? Proviamo anche ad immaginare che dopo l’annessione del Regno borbonico ai Sabaudi non ci fosse stata l’espoliazione economica, tecnologia e culturale del Regno di Napoli ...  Non sono un localista e nemmeno un tifoso del campanile, ma sia dato a cesare quello che è di cesare.


Pino De Luca (pino_de_luca@virgilio.it)