Dopo l’assalto alla Camera del Lavoro di Bari da parte dei fascisti (che si erano organizzati in squadre d’azione tollerate dal Prefetto per la tutela dell’ “ordine”) avvenuto il 31 0ttobre 1922, Giuseppe Di Vittorio scrisse una lettera alla Gazzetta di Puglia (così si chiamava la “Gazzetta del Mezzogiorno”) anche per rispondere agli insulti del corrispondente da Cerignola il quale evidentemente aveva suggerito a Peppino di andare a zappare, tornando al suo originario mestiere di bracciante, abbandonando il ruolo di “villano rifatto”, se intendeva inglobare eventualmente nel movimento un sindacato di Gabriele D’Annunzio, allora personaggio eversivo dopo l’impresa fiumana. La lettera venne pubblicata dal direttore Raffaele Gorjux, senza alcun commento, il successivo 14 novembre 1922
Tale scritto, ai più sconosciuto, è stata reso noto ieri 13 dalla Gazzetta del Mezzogiorno che l’ha ripubblicato, titolando il pezzo “la zappa l’ho sempre pronta”: la sintassi è approssimativa, lo stile non proprio fulgido, ma ciò che il trentenne autodidatta Di Vittorio vuol dire si comprende, oh se si comprende!
Alfio Tarullo
Ecco, a beneficio dei nostri lettori il testo della
Lettera di Giuseppe Di Vittorio alla “Gazzetta di Puglia”
Signor Direttore,
intorno all’inspiegabile clamore che si è voluto suscitare per una mia innocua lettera ero deciso a serbare un assoluto silenzio soprattutto perché è vera la massima: di fronte alla forza la ragione non vale. Ma il clamore non accenna a finire e tutti si sentono in dovere di intervenire, dalla Federazione socialista alla Sezione combattenti di Cerignola, che dà pretesto a quel suo corrispondente di darmi del pagliaccio e del villano: Onde sono costretto a chiedere alla sua cortesia un po’ di spazio per dare la possibilità ad un vinto di spiegarsi.
Io non ho detto a nessuno che intendevo indossare la casacca del legionario, né ho mai intrigato in alcun senso obliquo. Mi si è chiesto di dare il mio parere ad una formale richiesta d’adesione della Camera del Lavoro ad un movimento sindacale eventualmente capitanato da Gabriele D’Annunzio; Risposi di attendere che la situazione si fosse rasserenata in modo che si potesse discutere in tutta libertà. Il che significa sostanzialmente che, a precisa richiesta venuta da altri, non ho escluso a priori una possibile intesa coi fiduciari di D’Annunzio.
Ora mi chiedo: da quanto tempo in qua costituisce una pagliacciata ed un tradimento non escludere un’intesa col grande poeta?
Chiedo ai miei avversari se una mia risposta assolutamente negativa non avrebbe dato loro il pretesto di accusarmi ancora una volta di rinnegatore e traditore della patria.
Mi si consenta di dichiarare che io, per quanto villano, per nulla rifatto, ho sempre avuto un’ammirazione illimitata per Gabriele D’Annunzio, ammirazione e simpatia che ho manifestato sempre, anche quando in tempi non sospetti il proclamarla mi costava qualche dispiacere da parte dei miei compagni. Ciò sanno tutti coloro che mi conoscono e specialmente i legionari fiumani di Bari ai quali manifestai questi miei sentimenti or fa un anno; Ciò spiega com’io non escludessi un’intesa con i d’annunziani.
Ma da questo ad accusarmi di mistificare, a me che mi sono limitato a rispondere ad una formale richiesta, ci corre. Ma v’è di più. L’aver io aderito all’appello che si lanciava da tutte le parti al momento della proclamazione della guerra, cioè di deporre provvisoriamente le passioni di parte perché tutte le energie fossero tese al fine di evitare il disastro di una sconfitta militare, avevo proclamato pubblicamente questo principio contro corrente che non poteva darmi altro che dispiaceri; l’aver mantenuto fede per quattro lunghi anni di guerra a questo principio; l’aver combattuto e dato il sangue senza rimpianto, costituisce anche questo una pagliacciata per il suo felino corrispondente da Cerignola? Forse per non essere pagliaccio dovevo anch’io imboscarmi nel comitato di organizzazione civile, a Cerignola o in altri luoghi, invece di battermi sul S.Michele?
Non posso spiegare altrimenti l’accanimento che si continua ad avere contro di me, povero vinto e villano, se non con la rabbia di tanti patrioti del dopoguerra che vorrebbero ora aver fatto quello che io ho l’onore di aver fatto durante la guerra.
Ed ora, Signor Direttore, mi consenta un’ultima dichiarazione: non ho il terrore di riprendere la zappa che conservo ancora con tutti gli strumenti del mestiere. Gli agrari di Cerignola mi conoscono loro inflessibile avversario, tutelatore appassionato dei diritti e degli interessi dei contadini, ma mi conoscono anche zappatore e lavoratore, in genere di prima categoria, per capacità e volontà.
Conservo ottima salute e quindi nessuna paura di riprendere l’umile e grande mestiere. Ma per buona pace del Suo corrispondente cerignolese, le assicuro che ormai mi sono formato una modesta istruzione ed una modestissima cultura per merito esclusivamente mio. Mi consenta questo piccolo orgoglio, a me, povero villano che ha potuto frequentare soltanto la prima e la seconda elementare. Per cui sono in grado di dedicarmi a più elevate e più remunerative occupazioni.
Nel ringraziarla, Signor Direttore, della ospitalità che vorrà accordare alla presente, mi permetta ancora di protestare contro coloro che mi accusano di tradimento e di rinnegazione della patria, dopo che ho nobilmente compiuto il mio dovere, dopo i sacrifici, le ansie e l’angoscia sofferti dai miei famigliari, che mai mi consigliarono la viltà, che erano contenti, infine, del dovere compiuto ed ora sono banditi con me come traditori. Mi lasci dire che questa accusa non è soltanto ingiusta; è un’infamia!
Devotissimo
Giuseppe Di Vittorio