Acquedotti romani: scoperto il segreto della resistenza di un capolavoro d'ingegneria senza tempo
giovedì 20 luglio 2023

Per centinaia di anni ci si è interrogati sulle ragioni che hanno consentito alle imponenti arcate degli antichi acquedotti romani di resistere all'incedere del tempo. Dopo più di duemila anni, si è giunti finalmente a una risposta, che sembrerebbe dare il merito alla particolare formulazione del cemento adoperato.

Uno studio condotto dall'Università di Harvard, dal Massachusetts Institute of Technology e dal Museo Archeologico di Priverno, pubblicato sulla rivista Science Advances, ha scoperto che alla base dei capolavori di ingegneria degli antichi romani, c'è un materiale da costruzione performante e innovativo che si distingue per la sua capacità di autoripararsi ed evitare danni alle strutture. 

Il materiale, perfezionato nel tempo dagli ingegneri romani, è composto da varie forme di carbonato di calcio miscelate a caldo: un processo che porterebbe i blocchi di calce a sviluppare un apparato di nano particellare di natura fragile ma reattivo, capace di reagire a contatto con l'acqua, cristallizzandosi in carbonato di calcio, e riempire eventuali crepe nel cemento.
Ed è proprio grazie a questo materiale se ancora oggi, percorrendo le strade della Capitale e dei territori in passato conquistati dall'Impero Romano, si può restare incantati di fronte alle imponenti arcate degli antichi acquedotti: opere di alta ingegneria, che si distinguono per il loro fascino e l'imponenza, ma soprattutto per quell'estrema resistenza che li ha consegnati all'eternità. 


L'importanza dell'acqua nell'Impero Romano

 

Gli antichi romani sono stati dei pionieri nella costruzione di strutture per l'approvvigionamento idrico di luoghi pubblici e ambienti privati. Il primo acquedotto romano risale infatti al 312 a.C., periodo del regno dei Tarquini, un'opera iniziale alla quale sono seguiti, nel corso dei secoli successivi, 11 acquedotti, articolati in un sistema lungo 504,7 Km in tutto, capace di trasportare una portata d'acqua pari a 13,5 m3/s. 

Nell'Impero Romano l'acqua serviva per alimentare terme, bagni, attività ricreative come naumachie, fontane monumentali e le numerose fontanelle per l'approvvigionamento idrico del popolo.

L'acquedotto romano, oltre all'acqua pubblica, erogava anche l'acqua imperiale e l'acqua privata, la prima destinata alle famiglie imperiali e all'alimentazione delle terme, la seconda alle case dei patrizi.

Come funzionavano gli acquedotti romani?

 

L'articolato sistema che permetteva all'acqua potabile di giungere fino a Roma aveva inizio con un'accurata fase di valutazione della risorsa idrica, che doveva essere limpida, priva di muschio e canne e impenetrabile all'inquinamento. Per valutarne la salubrità, si procedeva empiricamente, osservando le condizioni fisiche delle comunità locali che attingevano a quelle fonti. 

L'acqua veniva convogliata fino alle città con un sistema che sfruttava la forza di gravità attraverso canali di scorrimento, che potevano essere sotterranei o sostenuti da arcate, come quelli che ancora oggi si possono scorgere per le vie capitoline. 

Gli ingegneri romani supervisionavano costantemente i lavori con strumenti topografici per assicurarsi che la pendenza del tracciato si mantenesse costante: era necessario infatti evitare sia dislivelli troppo lievi, che non avrebbero favorito una adeguato flusso dell'acqua, incrementando perdipiù le incrostazioni calcaree, sia dislivelli troppo accentuati, che avrebbero reso il getto eccessivamente veloce ed erosivo per il canale di scorrimento. Inoltre, era necessario mantenere il tragitto a quote quanto più possibile elevate, poiché questo avrebbe permesso di alimentare un territorio molto più vasto.

Ponti, canali e sifoni permettevano il superamento di colli, valli e pianure. Il complesso, nel suo insieme, era formato da un sistema libero superficiale e da un sistema pressurizzato chiuso, quest'ultimo in città: essi confluivano in torri d'acqua chiamati castelli di distribuzione, da cui partiva un complesso reticolo di tubi sotterranei che trasportavano l'acqua alla popolazione.

Un sistema acquedottistico funzionale e di altissima tecnologia, che nel 410 D.C, quando i Visigoti di Alarico giunsero in città, perpetrando quello che rimase nella storia come il Sacco di Roma, alimentava 11 Terme imperiali, 1212 fontane e 926 bagni pubblici.

L'arrivo dei barbari, però, oltre alla fine dell'Impero, segnò anche la graduale distruzione degli acquedotti, che costrinse i romani, nei secoli successivi e fino alla costruzione dei nuovi acquedotti, a prelevare l'acqua dai pozzi o dal Tevere.