Addio comandante Bulow
mercoledì 23 gennaio 2008

Brindisi, 23 gennaio 2008.  Mi ero ripromesso di non scrivere che di cose piacevoli, di cercare le tante buone notizie affogate nella melma dello sconquasso politico-istituzionale di queste settimane. Mi ero ripromesso di non usare il mio tempo per secernere parole di sdegno verso il putridume che ogni giorno s’accresce.


Lo farò, ma non posso non salutare Bulow che, a 92 anni, ha lasciato questo mondo. Bulow è stato un mito per le persone come me, un mito da piccolo lettore dei libri sulla resistenza. E Bulow quel mito non lo ha infangato, ha seguito la linea della sua vita, ha combattuto “per chi c’era, per chi non c’era e anche per chi era contro …”.


Non sono sempre i migliori ad andarsene, ma in questo caso uno dei migliori è partito lasciandoci una eredità pesante e straordinaria. Promettemmo un giorno lontano che non ce la saremmo giocata ai dadi o svenduta per un piatto di lenticchie. Quella promessa vale ancora comandante Bulow, forse per pochi, ma vale ancora.


Difenderemo il nostro Paese e il nostro popolo, con pazienza e intelligenza, anche se il nemico di oggi è molto più infido di quello di ieri. Si annida nelle coscienze, si traveste, fa strame di ogni ritegno e, vile, sfugge al confronto e alla battaglia. Noi abbiamo acquisito il tuo stile, Bulow, teniamo all’onore, al coraggio, alla dirittura morale ai valori che ti hanno permesso di recitare l’orazione per un altro grande comandante Partigiano “Tommaso Moro”, il partigiano bianco Benigno Zaccagnini, con il quale, sono sicuro, vi ritroverete dall’altra parte, se esiste.


Bulow e Tommaso Moro sono due dei nomi che dovrebbero essere ricordati alle generazioni future, insieme a tanti altri: Valerio, Lupo, Giaguaro, Scoiattolo, Volpe, Leone, Aso, Nembo, Furore, Checo, Neri, Gianna, Ivaldi, Visone e tantissime donne e uomini che hanno dato gli anni migliori della propria vita per fare grande questo Paese.


Io a quei nomi e a quelle storie ci sono saldamente ancorato, e per questo mi chiamano vecchio.
Mi sollecitano continuamente ad essere moderno perché l’Italia deve modernizzarsi, ma cosa c’è di più moderno che battersi per la verità, la responsabilità, la trasparenza, il rigore politico e morale? Il falso, la corruzione, il mercanteggiamento sono vecchi perché ci sono sempre stati, e chi li pratica e li tollera è la vera zavorra che frena e impedisce la crescita e lo sviluppo del Paese.

Nessuna riforma, nessuna modernizzazione può prescindere dall’affrontare la questione morale, l’uso distorto del potere politico, l’irresponsabilità per chi detiene il potere, l’abitudine all’impunità per personaggi le cui capacità sono inversamente proporzionali alla propria arroganza, il vergognoso essere parassiti sempre più esigenti e sempre più intrisi di pratiche che avvelenano l’intera collettività.


Su un vecchio libricino sono scritte queste cose e continua: ” … La corporativizzazione, le crepe profonde che attraversano la società civile, il peso condizionante del consumo e dell’egoismo sono anche frutto di un modo di governare che lascia straripare i potentati finanziari e dell’informazione cercando di ricevere in cambio salvacondotti, mance e silenzi.

Bisogna recuperare profondi valori che siano unificanti della nostra società, che segnino l’identità politica e ideale del nostro Paese, al di là delle apparenze e degli schieramenti dei partiti, che riannodino i fili spezzati e creino così le premesse per una vera modernizzazione, per sbarazzarsi definitivamente del vecchio Stato degli intrighi e delle impunità….”


Sarebbe bello pensare che chi ha scritto queste parole possa, un giorno, tornare a riannodare qualche filo.


Pino De Luca (pino_de_luca@virgilio.it)