“Dialoghi su Politica e Giustizia” a Brindisi, incontro pubblico promosso da Dario Stefano con Gennaro Migliore ed il Dott. Antonio Del Coco
venerdì 18 marzo 2016
“Dialoghi su Politica e Giustizia” a Brindisi, incontro pubblico promosso da Dario Stefano con Gennaro Migliore ed il Dott. Antonio Del Coco, magistrato. Organizzazione de “La Puglia in più”.

Ha preso l’avvio da Brindisi una serie di dibattiti pubblici organizzati dal movimento La Puglia in Più di cui è leader il Senatore Dario Stefàno,  presidente della Giunta delle Elezioni e delle Immunità Parlamentari del Senato“.

Presso la Sala del Museo Archeologico F.Ribezzo di Brindisi il Senatore Stefano ha dialogato con L’Onorevole Gennaro Migliore ed il Dott. Antonio Del Coco,   rispettivamente Sottosegretario di Stato alla Giustizia nell’attuale Governo Renzi l’uno e magistrato della Corte d’Appello di Lecce l’altro, su un tema che mantiene una decisiva incidenza sull'attualità, il rapporto tra politica e giustizia.

Specie a partire dagli anni novanta del secolo appena trascorso (dalle vicende di “Tangentopoli” in poi), si è assistito ad un fenomeno senza precedenti nella storia delle Istituzioni del nostro Paese che, originato da fattori contingenti e dagli umori dominanti nella società, si è sostanziato in sentimenti di reciproca diffidenza e contrapposizione ideologica fra il mondo della giustizia e quello della politica via via rafforzatisi sino a rendere sempre più tesi i rapporti reciproci. “Tangentopoli” ed altri successivi casi di eclatante corruzione, l’indignazione della pubblica opinione e le risposte insufficienti della classe politica hanno spesso finito per attribuire all’Ordine giudiziario compiti che ne trascendono le competenze e responsabilità.

Nel suo breve saluto iniziale all’uditorio l’Avv.ssa Giusy Santomanco Caso, una dei coordinatori provinciali del Movimento “La Puglia in più”, ha inteso porre l’accento sul “dialogo”, termine scelto non a caso per il suo potere evocativo della necessaria interlocuzione tra istituzioni, specie in un tempo complesso e difficile come l’attuale.

A seguire l’intervento di Mino De Masi, caposervizio del “Nuovo Quotidiano di Puglia” di Brindisi, con il giornalista impegnato non solo nella sua veste di moderatore ma di “provocatore”, come egli ha inteso definirsi, ruolo cui ha ben tenuto fede quando si è detto persuaso, dai “rumours” colti in città, “della diffusa necessità di qualificare il dibattito generale con nuovi contenuti”.

“La città - ha proseguito il giornalista- giunge all’appuntamento con le elezioni per il rinnovo dell’amministrazione comunale assai mortificata e stordita dalle vicende di cronaca che tutti conoscono”. In questo contesto, ha detto De Masi, i programmi non possono acriticamente essere delegati a partiti e movimenti ma si manifesta la indifferibile necessità di liberare le energie migliori del territorio e scegliere dal basso una classe dirigente che colmi la distanza con la società reale, pur se resta tuttora difficile accedere alla politica. Ma il più lungo dei viaggi comincia sempre da un primo, pur se piccolo passo.

Dario Stefano ha quindi sottolineato come l’ispirazione per questo incontro pubblico sia nata dal convincimento che la classe dirigente, prima ancora che rivendicare per sé un ruolo abbia il dovere inderogabile di interrogarsi sul contributo da dare a quel ruolo, in termini di contenuti e di soluzioni fattive atte a governare, nel confrontarsi con le quali non sempre la politica è riuscita a dar buona prova di sé.

Ha ricordato il decreto legislativo n. 235 del 2012 (cd. “Legge Severino”, introdotta nel novembre 2012 con il voto bipartisan del Parlamento ), una legge che regola incandidabilità e divieto di ricoprire cariche pubbliche, tra cui quella di parlamentare, quelle di governo, regionali e negli enti locali e che prevede sia l'incandidabilità prima delle elezioni che la decadenza dalla carica dopo le elezioni di chiunque sia stato condannato ai sensi dell'articolo 1 della legge.

Ma soprattutto, secondo Stefano, nell’acceso dibattito tra chi plaudiva ad una svolta ed al ritorno di provvedimenti volti a dare un messaggio di legalità, in contrapposizione a chi invece definiva la “Severino” una legge incompleta, parlando di occasione persa, è andata smarrita soprattutto una fetta di credibilità di un certo ceto politico che, messo di fronte al problema di propri potenziali candidati con delle “zone d’ombra”, ha tentennato nel non escluderli, prima ancora che dalle istituzioni, dalla vita politica.

La “Severino”, nata per restituire credibilità alle pubbliche amministrazioni, per ripulire l'immagine infangata dalla condotta di taluni politici, sembra che alla prova dei fatti abbia contribuito a mettere in cattiva luce le istituzioni politiche medesime, chiuse su sé stesse nel chiedere la revoca di una legge che proprio la politica aveva voluto. La buona politica non deve temere l’operato della magistratura nè può ad essa delegare compiti che ne trascendono competenze e responsabilità.  La scarsa credibilità, secondo Stefano, è quella che si origina in comportamenti poco lineari e che si infrange di fronte a cupi giochi di palazzo, che mirino a salvaguardare non già l’elettorato ma i candidati, con l'occhio strizzato evidentemente anche alle competizioni elettorali future.

Ben lungi dal ritenere efficace ogni soluzione che preveda un semplice smantellamento della struttura dei partiti, l’unica ricetta credibile con cui la politica potrà rigenerarsi è la selezione democratica ed oculata di una classe dirigente che non si presti a foraggiare inconfessati appetiti individualistici e calcoli familistici, che superi cioè ogni zona d’ombra, che valichi  l’ossessione di un consenso basato solo sulla capacità di soddisfare continuamente domande particolaristiche più che su identità allargate e valori condivisi.

L’Onorevole Gennaro Migliore, già tra i relatori dell'”Italicum” (la nuova legge elettorale), attualmente Sottosegretario alla Giustizia nel governo Renzi, ha espresso la soddisfazione per avere la possibilità di partecipare ad uno dei primi dibattiti sul tema da quando ricopre il suo nuovo ruolo istituzionale. Ha riconosciuto l’importanza e la qualità del lavoro di Dario Stefano, rigoroso e scrupoloso, da presidente della Giunta delle Elezioni e delle Immunità Parlamentari. Senza piaggeria, Migliore ha plaudito alla competenza ed alla dirittura di Stefano, uomo al di fuori degli schieramenti, alla guida della “Giunta” di Palazzo Madama in occasione della prima applicazione della legge “Severino” ad un leader di partito e di un'intera coalizione, circostanza che ha arricchito la funzione di ulteriore responsabilità, in un momento “epocale” di cambiamento e di passaggio per la nostra Repubblica.

Quando la Giunta cominciò ad occuparsi dei ricorsi sull’ineleggibilità del Senatore Berlusconi il Senatore Stefano “ebbe tutti gli occhi addosso” ma sempre operò ottemperando al dovere istituzionale di garantire il rispetto delle regole e senza mai scadere in alcuna valutazione politica, dato che la Giunta “è un organismo paragiudiziario”.

Migliore ha anche plaudito allo Stefano autore de “La decadenza” (un instant book, edito da Manni Editori) che ha saputo mettere insieme i numerosi e densi appunti di un viaggio che ha segnato un momento importante della storia della (Seconda) Repubblica italiana. La politica, secondo Migliore, deve rifuggire i “tribunali del popolo”, i giustizialismi, lo “sfascismo” in un periodo come l’attuale caratterizzato, nel nostro Paese, da profonde e complesse riforme istituzionali cui porre mano con rettitudine, competenza e senso di responsabilità. Tanto più se si considera che c’è la pericolosa ed invalsa “deviazione” dell’emettere sentenze prima della magistratura e che mai come adesso è necessario, specie da parte di chi si definisca un riformista, di mostrare di possedere la “schiena dritta” di fronte alla complessità che presentano le sfide correnti ed l’indispensabile rispetto degli equilibri tra i poteri. “Un reato commesso da un politico è più grave di quello di un comune cittadino” ha asserito senza mezzi termini Migliore, che ha anche aggiunto senza perifrasi che “tradire la fiducia dell’elettorato con atti contrari all’interesse pubblico deve comportare una sanzione adeguata”. 

Il Sottosegretario alla Giustizia ha poi espresso un giudizio positivo sull’approvazione alla Camera della delega sul nuovo processo (uno “strumento fondamentale per avere una giustizia più efficiente”), il nuovo unico statuto per giudici di pace, giudici onorari di tribunale e vice procuratori onorari, che vede anche crescere le competenze del tribunale delle imprese, prevede sezioni e gruppi specializzati per la persona, la famiglia e i minori, snellisce il processo in primo grado, creando una sorta di doppio binario a seconda della complessità giuridica delle controversie e della loro rilevanza economica, rafforza il processo telematico. Il tutto, secondo Migliore, vale a delineare  una riorganizzazione nel segno dell’efficienza e della semplificazione dell’intero sistema giudiziario italiano, del “servizio giustizia”, di rilevanza centrale nell’azione del Governo insieme alle politiche del lavoro, segnalate come principali criticità del “Sistema Paese” dal Fondo Monetario Internazionale.

Chiamato da De Masi ad intervenire nel dibattito, il dott. Del Coco ha evidenziato come il nostro territorio sia alla perenne ricerca di legalità, nel senso letterale di conformità alle leggi e come tutela del bene comune, nonché fondamento della democrazia. In risposta a situazioni di disagio provocate da un'oppressione del crimine sulla società, la legalità diventa l'aderenza ad una regola che protegga il debole dalle vessazioni del forte.
Chiunque è debole davanti alla struttura mafiosa, chiunque tranne l'ordine costituito che, informato da leggi democraticamente promulgate, può assicurare al singolo quella protezione, la forza di cui ha bisogno per non soccombere davanti alle intimidazioni ed alla violenza. Legalità non è uniformità formale, ma interiorizzazione autentica di una legge statuita affinché nessuno possa impunemente sopraffare qualcun altro, affinché l'equilibrio della società non sia rimesso all'arbitrio selvaggio del più forte, ma alle scelte di consessi civili, in cui nessuna voce vale più o meno di un'altra.  In questo senso, il magistrato scrive sentenze su ipotesi di reato, reprime reati ma non si occupa della ricerca di soluzioni ai fenomeni e comportamenti socialmente riprovevoli.

Il “caso Brindisi”, a dire di Del Coco, narra emblematicamente di un territorio sviluppatosi velocemente anche sotto la spinta economica della illegalità (il contrabbando ad esempio, ma anche una industrializzazione massiva e poco osservante delle regole) che ha finito col depredare la comunità (disoccupazione di ritorno, inquinamento ecc.). Il tutto in presenza di una criminalità organizzata (“importata”) che presenta il radicamento tipico di altre mafie storicamente consolidate, che costringono la realtà sociale sottostante a fare i conti con tale fenomeno (“..non si spara più, ma vige sempre la sistematica ricerca di consenso, con il ricatto perpetrato ai danni di una società civile in difficoltà e con la complicità di tutti gli organismi che con tali realtà deviate vengono in contatto..”)

Il pensiero personale di Del Coco è “che la politica, che appartiene ai cittadini, ha dimenticato la propria responsabilità, che risale in capo a tutti noi, non solo agli amministratori”. Se la “Legge Severino” è un fallimento della politica vuol dire che il problema risiede altrove, ha aggiunto Del Coco, che ha aggiunto che non sono le leggi a mancare (siamo un Paese “panpenalistico” ha sostenuto il magistrato) in un sistema che vede nel massiccio ricorso alla magistratura – specie nelle fasi di impugnazione ma non solo – la manifestazione di un sorta di “abuso del processo”, nel quale il troppo frequente ricorso al giudice, specie penale, “degrada la funzione”.  Allo stesso modo, da cittadino, evidenzia la necessità di recuperare la dimensione della coscienziosità di tutti gli stakeholders della politica, senza bisogno di nuove “leggi Severino”, “pena lo scadimento di significato delle istituzioni politiche medesime”.

Del Coco ha anche aggiunto che le risposte insufficienti della classe politica alle aspettative delle persone (che votano per esprimere attraverso l’adesione ad un programma politico o all’altro, alcuni aspetti della loro personalità, del modo in cui ragionano e prendono decisioni) hanno finito per attribuire all’ordine giudiziario compiti che non gli spettano istituzionalmente, il che travalica e mina il fondamento della divisione dei poteri. Il giudice compone liti e punisce crimini, con decisioni particolari ed efficaci tra le parti, non è chiamato a regolare rapporti sociali e, per la dottrina della separazione dei poteri, non può legiferare (produrre norme generali efficaci erga omnes). Ogni superfetazione del ruolo della Magistratura è da considerarsi come una patologia del sistema che potrebbe solo contribuire ad aggravare, minandone e non salvaguardandone l'autonomia e l'indipendenza. Solo così potrà esserci un magistrato custode di impegno e professionalità e dei valori essenziali della giurisdizione, che da un lato non sarà condizionato da poteri ed interessi, senza fughe dalle responsabilità della magistratura (che potrebbero determinare un abbassamento della capacità della funzione giurisdizionale di dare risposte alle domande di giustizia), ma anche senza inutili protagonismi e “spettacolarizzazioni”.  

La magistratura non è il "partito della legge", ma è sicuramente custode della tutela del principio di legalità e non “può permettersi di celebrare i processi nei periodi in cui la politica non sia interessata da campagne elettorali” . La politica faccia valere la propria onorabilità, senza delegare alla Magistratura la certificazione della sussistenza dei requisiti auspicati di trasparenza e moralità dei propri candidati o dei propri amministratori in carica, ma si autoregoli con atti e  provvedimenti fattivi e con buoni esempi.

In conclusione, il Senatore Stefano ha sostenuto la necessità di una razionalizzazione dell’apparato normativo italiano caratterizzato da troppe leggi, aprendo anche al possibile ricorso a nuove Leggi-quadro per rendere più coerente ed efficiente l'apparato amministrativo. Nell’amministrazione delle città più grandi risiede il dovere etico di porsi come modello di riferimento per l’amministrazione dei centri più piccoli, senza zone d’ombra che ne ammorbino il funzionamento affinché sia data una risposta alle domande dei cittadini, che restituisca credibilità a chi avrà un ruolo e il privilegio di amministrare, tranquillità a chi dovrà giudicare l’operato di chi amministrerà.

La sensazione con cui abbiamo lasciato il dibattito è che la società contemporanea possa e debba pretendere da sé qualcosa di meglio, a partire magari da una classe politica diversa che non sia area di parcheggio di chi non abbia trovato altre vie per risolvere la propria vita altrimenti. Un processo che richiederà forse del tempo ulteriore ma forte della consapevolezza che zone d’ombra o distorsioni del sistema di rappresentanza non appartengono ad una sfera di immutabilità antropologica e sono, dunque, emendabili.

Andrea Solimini.